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"GAMBRINUS"...NOT A SIMPLE BAR

La storia del “Gambrinus” coincide con la gran parte della storia del costume della Napoli della Bella Epoque.

 

Il suo nome originario di “Gran Caffè”, fu inaugurato alcuni anni dopo l’ingresso di Garibaldi a Napoli, vale a dire poco dopo il 1860.

I locali erano, e sono, proprietà dell’amministrazione provinciale.

Il posto, già all’epoca, era molto importante: piazza Plebiscito, l’angolo via ChiaiaSan Ferdinando costituiscono da sempre l’incrocio centrale e più “in” di Napoli.

 

Era importante però sconfiggere la concorrenza del “Bar Europa”, oggi scomparso.

Vincenzo Apuzzo, proprietario del “Gran Caffè” investì tutti i suoi soldi per arginare la concorrenza, ed i suoi debiti insieme conla pesante situazione creata a Napoli dal colera del 1884 inferse il colpo di grazia al locale che dovette chiudere.

 

Nel 1890, Mariano Vacca, proprietario del “Bar Europa”, vinse la gara per l’affitto dei locali del “Gran Caffè”.

Chiamò prontamente l’architetto Antonio Curri, uno dei più attivi dell’epoca, discepolo di Enrico Alvino.

 

I lavori durarono sei mesi, fu installato ogni genere di elemento artistico/ decorativo. Inoltre fu proprio di Curri l’idea del nome: “Gran Caffè Gambrinus”, in onore del re germanico cui la tradizione attribuisce l’invenzione della birra.

 

Il 30 ottobre 1890 vi fu l’inaugurazione ufficiale.

Il “Gambrinus” divenne popolare in poche settimane.

I cocchieri praticavano una tariffa speciale per la corsa delle carrozzelle dalla stazione al “Gambrinus”, in quanto per “Gambrinus” s’intendeva tutta la zona: Piazza Plebiscito, via Chiaia, la Galleria Umberto I, via Toledo, piazza San Ferdinando.

 

Andare al “Gambrinus” divenne una moda, anche grazie al richiamo esercitato da un’orchestra detta delle “Donne Viennesi” composta di tutte donne.

Il locale divenne anche il principale luogo di convegno degli uomini di cultura della città.

Proprio tra l’800 e il ‘900, Napoli era popolata da una gran quantità di poeti, scrittori, giornalisti, musicisti, ecc…

I nomi di poeti quali Gabriele D’Annunzio (che visse a Napoli dal 1891 al 1893), fornirono prestigio al locale.

 

Proprio intorno a D’Annunzio nacque un curioso aneddoto circa la canzone napoletana “Vucchella” (“Boccuccia”); scritta proprio dal D’Annunzio.

Un vecchio cameriere, sosteneva infatti, di possedere il marmo del tavolino sul quale il poeta avrebbe scritto il testo della suddetta canzone, in mancanza di un foglio di carta.

In realtà lo scrittore lo ricopiò su tale marmo a titolo di indennizzo per le consumazioni non pagate.

 

Il locale dal 1922 fu gestito da una società per azioni che faceva capo ai fratelli Esposito. Il “Gambrinus” continuò nella sua vita di caffè letterario ancora per anni.

Sfortunatamente negli anni gli spazi del Gambrinus” furono ridimensionati per ordine del prefetto Giovanni Mariziale.

 

Successivamente, il pacchetto azionario del “Gambrinus” fu rilevato da Michele Sergio che per vent’anni si  battè  perché il locale tornasse ai vecchi splendori.

Solo nel 2001 si avverò il miracolo: Prefettura e Amministrazione Provinciale comunicarono che tutto era stato risolto.

 

Michele non poté leggere quella lettera.

A lui, i figli Arturo e Alberto dedicarono la festa di riapertura, una festa per tutta la città.

 

 

Liberamente tratto da “Napoletani si nasceva” V. Paliotti.

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